Bagdad
2000
di Andrea Mosso
Partire alla volta
di Bagdad è ogni volta come ripercorrere con la mente itinerari
avvolti da misteriose cortine fumogene fatte di vaghi e affastellati ricordi
scolastici e da frammenti di film hollywoodiani; un impasto confuso di
civiltà mesopotamiche e Douglas Fairbanks in un polpettone esotico
/ storico che inevitabilmente crolla appena arrivati a destinazione. Allora
subentra un'altra inquieta sensazione: quella di non riuscire ad afferrare
il senso più completo della realtà che ci circonda per via
della lingua, del differente tempo di vita, del diverso modo di affrontare
i rapporti. Se a ciò aggiungiamo l'ambizione di raccontare per
immagini fotografiche una tale cultura in cui tradizione e modernità
convivono in una sorta di apparente stratificazione disordinata si può
ben comprendere lo sgomento, ma anche lo stimolo, nell'affrontare l'impresa
ed accettare la sfida. Da questo impegno è nato un lavoro fatto
da un cospicuo numero di fotografie tra le quali il fotografo stesso ha
selezionato in base ad una scelta, critica al limite del sacrificio, un
ristretto ma significativo gruppo di immagini, che non vogliono avere
l'ambizione di sciorinare davanti agli occhi dell'osservatore la totalità
della vita a Bagdad, ma piuttosto tendono a restituire le emozioni, quasi
gli odori, provati dal fotografo.
L'insieme delle fotografie, in un rigoroso e drammatizzante bianco/nero,
riporta alla mente tutta una tradizione di reportage "concerned"
che ha come caposcuola certamente la figura di Eugene Smith, che diceva,
cito a memoria, ...la mia posizione consiste nel catturare l'azione della
vita, la vita del mondo, il suo lato comico, le sue tragedie, in altre
parole la vita così com'è..... Dello stesso spirito è
informato il lavoro di Andrea Mosso, che girovagando per le strade, i
suk, gli ospedali di Bagdad, senza alcun preconcetto o volontà
critica, ha colto il pulsare, i tempi, le abitudini degli abitanti, entrando
spesso in contatto quasi fisico con le persone e gli eventi. A testimonianza
di questa sua necessità di stabilire un rapporto umano sta l'uso
ricorrente del grandangolo ( soprattutto il 24 mm.) che lo costringe ad
avvicinarsi molto al soggetto che così viene enfatizzato in pose
dalla plastica monumentalità, sottolineata dall'effetto di ampliamento
e di dilatazione dello sfondo. La composizione più ricorrente,
quasi una cifra stilistica, mette il soggetto al centro della scena, che
risulta tagliata simmetricamente in due parti di uguale peso compositivo
e che spinge ancora di più verso l'osservatore il soggetto stesso,
in un primo piano di grande impatto emotivo. La composizione geometricamente
costruita su un asse centrale con matematica precisione rende l'immagine
una sorta di affermazione apodittica e nello stesso tempo icastica, senza
possibilità di incertezze o contraddizioni. E' il risultato di
una visione quasi dionisiaca della realtà che il fotografo coglie
nella sua poetica crudezza, che è al contempo epica sociale e personale
lamento, progressiva presa di coscienza e professionale distacco. Le fotografie
passano con uno slittamento insensibile ma continuo da testimonianza a
documento, tanto che alla fine non solo rendono partecipe l'osservatore
della realtà, ma lo spingono a prendere una posizione morale se
non politica. Altre volte l'immagine fonda la sua efficacia espressiva
su una eccentricità compositiva che rimanda al lavoro di Robert
Frank "Les Americans", laddove i protagonisti della scena si
collocano, sempre per l'effetto del grandangolo, così divaricati
tra loro che lo sguardo è costretto ad inseguirli nell'immagine,
da un lato all'altro del campo visivo, in un dialogo che si intreccia
tra espressioni e forme, chiari e scuri alla ricerca di una unità
volutamente stravolta. Il disorientamento che ne consegue è la
vera chiave di lettura dell'immagine, non più data come una certezza,
ma proposta come una dialettica tra fotografo e osservatore, in un tentativo
di coinvolgimento nella ricerca di un significato univoco e convincente.
In questo caso il fotografo si pone non come uno spettatore della realtà,
ma come un ricercatore dei significati; non compie cioè una verifica
di un proprio pensiero aprioristico, ma piuttosto si pone domande e suscita
in sé stesso dubbi che lo affrancano dal sempre incombente pericolo
della retorica, uno studioso che usa la fotografia come medium.
Per concludere vale la pena ricordare quanto scriveva Dwight MacDonald
in Against the american grain: ....dalle foto emerge una verità
che comprende e va oltre la verità sulla miseria e l'ignoranza
degli studi di sociologia, la verità che esistenze così
dure, osservate con immaginazione, sono anche toccate dalla poesia, dalla
commedia e dal dramma dell'inatteso e dell'imprevedibile, come succede
nella vita...
Sebastiano Porretta
Adesso però fa impressione. Rivedere le fotografie del mondo. E
fa impressione perché in vent'anni, abbastanza inconsapevolmente,
si è generata una rivoluzione della percezione, oltre che un capovolgimento
dell'idea di realtà.
Perché la domanda vera è probabilmente una: cosa significa
oggi guardare una fotografia? Cosa significa dopo che le immagini in movimento
hanno sostituito il realismo della fotografia. Anche se in modo diverso.
E cosa significa dopo che la fotografia si è imposta sempre di
più come elemento di falsificazione del reale?
Roland Barthes, quasi trent'anni fa, scrivendo di Richard Avedon su "Photo"
diceva: «di quante foto si dice abbastanza stupidamente che sono
"vive", "animate" ecc: tutta una serie di valori mitici
utilizzati dalla pubblicità dei materiali fotografici!».
Era il 1977, Barthes non avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe accaduto
della fotografia da lì a poco. Come il reportage, eccetto poche
eccezioni, avrebbe lasciato il passo a una realtà filmata, a documenti
apparentemente più realistici, più vicini al mondo in cui
stiamo e che guardiamo.
I giornali, o meglio i magazine, hanno messo da parte la fotografia. come
se non ci fosse più spazio per immagini fisse, che non restituiscono
abbastanza quello che avviene. Ma in realtà si è trattato
di una sorta di sconfinamento della moda, che si è impossessata
del tutto del linguaggio fotografico, utilizzandolo per scopi mistificatori.
La più assoluta irrealtà, la più forte irrealtà,
che è quella delle modelle, che è quella del glamour, che
è quella del sogno, che è quella del falso (ma le due cose
coincidono, falsificazione e sogno, sono due aspetti del rifiuto del reale,
e spesso il falso è contenuto nel sogno) ha utilizzato come veicolo
quasi esclusivo la fotografia. Perché la fotografia è sempre
stata idea di verità e non sempre di realtà.
Solo che la fotografia è verità attraverso un processo complesso,
che non sta soltanto nel vedere la foto, ma sta nell'elaborare ciò
che si vede. Tutti i fotografi di guerra lo sanno bene. La foto che documenta,
e basta, non riesce a spiegare abbastanza. Non lo sapevano gli anonimi
fotografi che mettevano in fila i briganti italiani, dopo che erano stati
uccisi. Ma lo sapeva Robert Capa: quando fotografa il suo miliziano nell'atto
in cui veniva colpito, e non dopo che era caduto a terra. Sarà
poi morto quel miliziano, oppure solo leggermente ferito? Certo che è
morto, ma non perché lo dice la fotografia, ma perché attraverso
una serie di considerazioni culturali, estetiche, e di esperienza, stabilisci
questa cosa. E adesso?
Ho visto le foto di Andrea Mosso, scattate a Bagdad. Non è ancora
una Bagdad di guerra la sua. Lo diventerà in seguito. Ma la guerra
la senti come concetto possibile. Come idea di base. Questo ha la fotografia:
non documenta soltanto. O meglio: non è soltanto fotografia del
reale ma è spiegazione del reale. La chiamerei realtà del
dopo. Guardi le facce, gli ambienti e filtri tutto attraverso una bianco
e nero che è già una dichiarazione di intenti e una scelta
estetica. Sembrano un preludio in forma di immagini, immagini di idee
e di forme che rimangono sospese, nell'attesa di quello che un giorno
verrà davvero.
La fotografia è questo. Sembra terribilmente legata al mondo, ma
del mondo può fare assolutamente a meno. Come se la luce che attraversa
l'obbiettivo prendesse ordini da altro: da una tradizione, da un linguaggio
che negli anni è diventato più elitario, e sempre più
sofisticato.
Oggi quella Bagdad è attraversata da guerra, macerie e miserie.
Ma è attraversata anche da inviati, immagini e parole. La fotografia
ha un suo posto altro in tutto questo. La fotografia sta alle immagini
dei documentaristi e inviati come la filosofia sta alla narrativa. Come
il saggio breve sta al romanzo lungo. In questi saggi brevi Andrea Mosso
ha raccontato un mondo ma forse, ancora di più, ha raccontato se
stesso. Perché non è vero che i fotografi stanno dietro
l'obbiettivo: stanno davanti, e si lasciano cercare tra le immagini.
Roberto
Cotroneo
Che cosa sarà rimasto di quell'aula a Baghdad. Che cosa scriverà
quella bambina sui grandi fogli bianchi.
Forse quella scrittura avrà lo stesso senso che avevano i racconti
per Sheherazade.
Che cosa sarà rimasto di quella scrittura, a Baghdad... Del respiro
consegnato ai segni tracciati con l'inchiostro.
E' un luogo senza confini la Baghdad di Andrea Mosso.
A Baghdad non si entra, da Baghdad non si esce in queste foto.
E' la vita che passa di voce in voce, di sguardo in sguardo, dal bianco
al nero.
Antonio Errico
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Andrea
Mosso - Curriculum artistico
Recapiti
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E-Mail cameraoscura@hotmail.com
Nato a Roma il 03/12/1970
Studi:
- 1988 Diploma Artistico
- 1992
Diploma presso Istituto Superiore di Fotografia di Roma
Progetti:
- 1994
presidente e fondatore CAMERAOSCURA - Associazione di Fotografi Nazionali
ed Internazionali
- 1999
Partecipa all'ideazione e ne fa parte dell'agenzia di fotogiornalismo
on line isophotobase.it
- 1997/2004
Idea e coordina il "Progettooglinda", corso di formazione e
agenzia per bambini di strada - Bucarest, Romania
Docenze:
- 1992/93
Docente a detenuti ed ex detenuti Presso Carcere e Comunità Roma
- 1999/2001
Docente presso la comunità Capodarco Roma
- 1995/2004
Docente di antiche tecniche di stampa presso l'Istituto superiore di fotografia
Roma
- 2000/2001
Docente Corso di formazione Progetto Poate ca - Bucarest, Romania
Premi:
- 1993/Sebastiano
Hoschman
- 2000/MilleniumPhotoprogect
Mostre:
Italia:
- 1990 rassegna Fotogrammatica giovani autori - Calcata Prov.Viterbo
- 1991 Rassegna Fotogrammatica - Acquario Romano Roma
- 1993 Gesti - Villaggio Globale Roma
- 1996 Cento ritratti di Orlando - Ferro di cavallo Roma
- 1997 Istruzioni per l'uso - vicolo del Bologna Roma
- 2000 12 Fotografi per sdebitarsi Galleria Andrè - Patrocinio
comune di Roma
- 2001 Crescendo - Palazzo Massimo Roma, Patrocinio del Comune di Roma
- 2002 I Poeti si Raccontano - Rieti Patrocinio provincia di Rieti
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2003 Voci di Guerra e di Mestieri - Bellegra, patrocinio Presidenza Provincia
di Roma
- 2003
ciclo di mostre Crescendo - Lecce, Tricase, S.Cesario Patrocinio Provincia
Di Lecce
Estero:
- 2001/10th
Baghdad international Festival for Photografic Pictures - (IRAQI SOCIETY
FOR PHOTOGRAPHY)
- 2002
"PoateCa" Cianography Bucarest Romania
Pubblicazioni:
- Mensile Terre des Hommes Italia - Street Children in Bucarest
- Trantition Harward University - Street Children in Bucarest
- Collana o.n.g C.I.S.P. - Saharwi
- Crescendo Catalogo
- Voci di guerra e di Mestieri - Ed. AdM Pat. Presidenza Provincia di
Roma
- I poeti si Raccontano - Ed. AdM Pat. Presidenza Provincia di Roma
- Collabora stabilmente con la rivista ZU Romacitymagazine
- Apulia, Figli dell'aurolack Mensile della B.P.P
- Espresso,
reportage tropico del Danubio
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