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DÈJÀ VÙ DI UNA GUERRA
16 gennaio 1991.
Allo scoccare dell’ora X ebbe inizio la guerra in diretta.
La prima guerra documentata e vista in diretta che tenne incollati ai teleschermi
milioni di persone in tutto il mondo.
Il più imponente dispiegamento di forze realizzato da una grande coalizione
di stati per cacciare Saddam Hussein dal Kuwait e respingerlo in Irak, da dove
era venuto.
Come tanti altri, anch’io in quei momenti, alla vigilia della prima guerra
in diretta, ero attento e pronto a raccogliere le informazioni trasmesse dai
media nel tentativo di poter cogliere il senso di ciò che stava accadendo.
Appena trascorse l’ultimatum di Bush Senior ed ebbe inizio il minacciato
bombardamento di Bagdad, sentii l’esigenza di videoregistrare l’evento
bellico con l’intento di fermare nella memoria le immagini dell’attacco
notturno sulla città.
Sentivo che, per quanto fosse terribile ciò che stava per essere perpetrato
nei confronti del popolo irakeno, non riuscivo a cogliere pienamente l’entità
della catastrofe sociale e umana.
I media sembravano, allora, poter aiutare a capire quanto stava accadendo e
fornire una spiegazione e un senso alle azioni di Bush Senior e della coalizione.
Nei giorni immediatamente successivi e fino alla liberazione del Kuwait, cominciai
a integrare le informazioni raccolte dai telegiornali con quelle dei quotidiani
e dei periodici che riportavano approfondimenti e spiegazioni e mi aiutavano
a cogliere meglio il senso di quella che all’apparenza doveva essere una
guerra fra arabi e che nei fatti si era trasformata in una guerra per il petrolio.
Trascorrono 10
anni e l’11 settembre 2001 la catastrofe delle Twin Towers fa cadere il
mondo in un’epoca oscura e terribile, in un nuovo medioevo in cui la peste
è mediatica e il contagio, di natura psicologica, azzera gli animi e
getta lo scompiglio fra la gente.
La paura regna sovrana nel cuore delle persone e non esiste più un posto
sicuro dove poter vivere.
Il terrore di nuovi e sconcertanti attentati, l’incubo delle armi chimiche,
si diffonde velocemente e le informazioni mediatiche traboccano di possibili
obiettivi di attentati terroristici: lo scenario ideale per giustificare un’offensiva
contro il nulla.
Bush Junior decide di attaccare i paesi i cui governi ospitano, aiutano e sovvenzionano
Bin Laden e i terroristi di Al Qaeda.
Bin Laden si trova in Afghanistan, quindi viene attaccato l’Afghanistan
e, dopo tonnellate di bombe, rovesciato il governo dei talebani.
Tutti sono felici e contenti perché è stata portata la libertà
e la democrazia in un paese vessato dalle guerre negli ultimi 30 anni.
Inoltre, i bambini che potevano di nuovo utilizzare gli aquiloni e le donne
che non erano più costrette a indossare il burka rappresentavano valori
aggiunti all’opera di bonifica americana che grazie a ciò aveva
inventato un nuovo format bellico.
In passato la guerra poteva essere giustificata come risposta ad un’offesa di tipo militare o ad un’invasione di territori sovrani, ma grazie al termine di “guerra preventiva”, si istituisce un nuovo ed efficace modello bellico in grado di essere facilmente applicato e generalizzato: in nome della difesa della libertà e della democrazia si considerano nemiche tutte le dittature o i governi che appoggiano il terrorismo.
Sull’onda
di questo delirio istituzionalizzato e reso certamente più efficace e
credibile dai media, dopo l’Afghanistan, la campagna di liberazione americana
si sposta sull’Iraq.
Le motivazioni di questa guerra sono sempre legittimate dai cliché appena
inventati, ma Bush vi aggiunge un ulteriore elemento d’interesse collettivo,
evitare cioè che l’Irak possa utilizzare armi di distruzione di
massa; l’obiettivo primario della guerra diventa quello di sottrarre e
neutralizzare le scorte di antrace, gas nervino e materiale radioattivo stipato
nei caveau in mezzo al deserto irakeno.
Oggi tutto questo non ha più molto senso: la dimostrata manipolazione
delle informazioni e la verificata inattendibilità delle fonti in merito
alla presenza di armi di distruzione di massa in Irak può solo far capire
quanto le decisioni prevalgano sulle motivazioni ufficiali e fanno intravedere
un senso nascosto che anima le scelte di invasione di un paese sovrano.
Ad ogni modo nel
dicembre del 2002, quando Bush Junior, in barba alle risoluzioni e alle dichiarazioni
ufficiali degli ispettori dell’ONU, stabilì che in Irak c’erano
armi di distruzione di massa e pertanto intimò a Saddam di dichiararle
altrimenti avrebbe invaso l’Irak, io provai una sensazione strana e familiare
insieme, mi sembrava di rivivere un’esperienza che non riuscivo ad afferrare.
Ricordavo di avere archiviato le immagini e i documenti raccolti durante la
prima guerra del Golfo e cominciai a cercarli perché sapevo che probabilmente
lì avrei trovato una risposta.
Rivedere i telegiornali dell’epoca mi fece immediatamente constatare che
c’era più di una rassomiglianza con le immagini trasmesse in quel
periodo e questa coincidenza visiva fece nascere in me il presentimento che
di lì a poco ci saremmo trovati dinanzi a una nuova guerra e che dal
punto di vista visivo sarebbe stata per certi aspetti sovrapponibile con la
prima guerra del Golfo.
A rafforzare l’effetto
del “già vissuto” contribuiva la presenza di alcuni protagonisti
che erano gli stessi a distaza di 11 anni.
Saddam, Tariq Aziz, Colin Powell, David Cheny avevano, infatti già vissuto
quell’esperienza e la rappresentazione di Bush Senior sopravviveva grazie
alla presenza del figlio rassomigliante Bush Junior.
Anche lo scenario riproponeva elementi già visti come i carri armati
e le truppe che si dispongono ai confini dell’Irak, gli aerei in volo,
le portaerei americane nel Golfo Persico, i missili pronti al lancio, la sabbia
del deserto e molto altro ancora.
L’impressione di rivivere la vigilia di una guerra era, quindi, per me
molto forte e la sensazione di non poter far nulla e di assistere passivamente
all’evoluzione inesorabile di un nuovo, ma sempre uguale racconto di guerra
fece nascere in me l’esigenza di provare a rappresentare questa drammatica
somiglianza fra le due guerre attraverso un video costruito con i pezzi dei
telegiornali dei primi tre giorni della guerra del ’91.
Nel dicembre del 2002 cominciai a selezionare il materiale videoregistrato per
realizzare un cut-up d’immagini di guerra.
Scelsi di lavorare in bassa risoluzione per simulare una sensazione di precarietà
dell’immagine così come si manifesta la sensazione del ricordo
quando è vago e confuso.
Per questo ripresi dal televisore le immagini videoregistrate e le montai con
un ritmo incalzante e ossessivo con l’intento di costruire un collage
che potesse essere tranquillamente scambiato con una selezione degli eventi
dell’ultima guerra contro l’Irak.
La colonna sonora è stata realizzata ad hoc con l’intento di sottolineare
la dimensione della torpidità del ricordo vago ed esasperare la sensazione
di confusione fra passato e presente.
A gennaio del 2003 finii di montarlo, ma attesi qualche mese prima di farlo
vedere.
Quando il 19 marzo 2003 ebbe inizio l’invasione dell’Irak da parte
delle truppe americane e inglesi decisi che era venuto il momento di verificare
se effettivamente quella sovrapponibilità d’immagine delle due
guerre era possibile e il 12 aprile 2003 presentai, presso il Caffè Letterario
di Lecce una video installazione attraverso un percorso costituito da 200 immagini
a colori della guerra del ’91 affisse alle pareti del locale che ospitava
la mostra; al centro dello spazio di allestimento troneggiava un vecchio televisore
in bianco e nero che trasmetteva in loop il video realizzato.
La colonna sonora dell’evento, appositamente composta per l’occasione,
completava l’installazione attraverso suoni d’ambiente che colmavano
lo spazio di relazione dei visitatori.
La sensazione della gente fu quella di vedere le immagini della guerra allora in corso senza pensare assolutamente che si trattasse, invece, della prima guerra del Golfo.